26°C già alle sei di mattina quando ci si ritrova di fronte alla bacheca pronti a partire per quella che si preanuncia una splendida quanto massacrante giornata all’insegna del grande ciclismo: in programma ci sono infatti ben 230 km con 4200 metri di dislivello, direzione Santuario della Verna!
Il gruppo è composto da tredici elementi: Mirco, Giorgio Montanari, Frank Schleck, Pio, Robi Bendinelli, Robi Aureli, Ottavio, io, Cenci Jr., Fulvio, Luigi, Cenci Sr. (che ci saluterà a Carpegna per tornare a casa) e il consueto ospite pesarese che però dovrà tornare indietro poco prima della Cantoniera causa rottura di un raggio. Le strade semideserte e il caldo ancora assolutamente tollerabile fanno sì che arrivare alla Cantoniera sia un piacere, e particolarmente bella si rivela la scalata in mezzo al silenzio ed alla pace pressoché totale del primo mattino.
In corrispondenza del GPM ci si ferma per un breve ristoro idrico e solido, poi giù veloci verso Pennabilli tramite la divertente discesa della Cantoniera. A questo punto gli undici atleti rimasti imboccano la Marecchiese ad andatura tranquilla in direzione del Passo di Viamaggio: salita lunga (circa 12-13 km se non sbaglio) ma leggera e pedalabile, con strada ampia e poco trafficata. Il gruppo, come è ovvio che sia, si fraziona, con Pio, Luca Cenci e Franco che si avvantaggiano per poi aspettare tutti gli altri in cima al valico a poco più di mille metri di quota. La temperatura comincia già a farsi calda, ma ancora, tutto sommato, per effetto dell’altitudine, del tutto tollerabile. Terminato il ristoro di Viamaggio si svolta a destra e si affrontano i dodici km di discesa verso Pieve S. Cristoforo, abbastanza tortuosa ma veloce e divertente, nonostante il fondo stradale in condizioni tutt’altro che ottimali. Giunti nella suddetta cittadina è il momento di affrontare la principale ascesa di giornata, il Passo dello Spino, che, con i tre km di “appendice” che, poco dopo il GPM, dovranno condurci fino al Santuario, raggiunge i 19 km di lunghezza. Strada ampia e asfalto in condizioni pressoché impeccabili fanno da sfondo ad una salita dalle pendenze assolutamente regolari (grossomodo sempre attorno al 5-6%) e capace di regalare scenari naturali di indubbia bellezza alla vista. La salita, più che tra i ciclisti, è rinomata tra i motociclisti, ma per fortuna, essendo sabato, la loro presenza è esigua, fattore che giova non poco alla nostra sicurezza.
Il gruppo qui si fraziona in tre-quattro tronconi: davanti i soliti tre, mentre io stabilizzo il mio passo un po’ più indietro assieme ai due Roberto e a Giorgio, che però mi staccheranno a circa un chilometro e mezzo dalla vetta, quando sento il bisogno di recuperare un po’. In cima al passo non è però il momento di fermarsi, perché dopo circa due chilometri di discesa occorre svoltare a destra ed affrontarne altri tre in leggera salita per raggiungere il Santuario francescano della Verna. Appena il gruppo si ricompatta la decisione presa è quella di ritornare in cima allo Spino per procedere alla sosta-pranzo nel bar-ristorante presente proprio sullo svalico. Nemmeno a farlo a posta, la sua collocazione si situa proprio alla metà esatta della nostra tappa, giacchè allo stop il mio Polar segna esattamente 115 km con 1800 metri di dislivello. Panini crudo e formaggio per tutti innaffiati da acqua e Coca-Cola. A questo punto Pio, che per improrogabili impegni personali deve salutarci anzitempo, riparte prima di noi per fare ritorno verso casa, e ad accompagnarlo c’è Frank. La discesa dello Spino è divertentissima, lunga, rapida, facile ed invitante: il brutto viene subito dopo, con la salita di Pieve S. Cristoforo (quella che prima si era affrontata in discesa) da affrontare sotto l’impietoso sole delle 14 ed una temperatura che si aggira attorno ai 35°. Solito frazionamento del gruppo, ed io questa volta rimango assieme ad Aureli, Bendinelli, Fulvio e Luigi. A questo punto, occorre sottolineare l’incredibile condotta di tappa portata avanti da questi ultimi tre che, con particolare preponderanza di quest’ultimo, non smettono mai (ribadisco: mai) di prodigarsi in variegatissime pataccate verbali dal primo all’ultimo chilometro di salita, in barba al caldo ed alla fatica :D.
Tali due fattori invece incidono non poco sul mio rendimento, ed all’ottavo chilometro circa vado in grande difficoltà: pian piano, pedalata per pedalata, con i compagni di squadra sempre ad un tiro di schioppo, riesco a salire fino in cima, dove ci si ricongiunge tutti assieme al bar di Viamaggio. Ristoro liquido e solido, rapido inventario della devastazione fisica che comincia ad attanagliare più o meno tutti e poi giù per la stessa discesa affrontata di mattina con il naso all’insù. Al suo termine occorre subito svoltare a destra ed affrontare la penultima salita di giornata, che in una quindicina di chilometri dovrà portarci a Sestino. Caldo sempre più afoso e fatica che, dopo circa 160 km, comincia ad attanagliare in maniera consistente. All’incirca al quarto chilometro di salita vengo superato da Robi Bendinelli, che poi sparisce dietro la curva. Quando mi si riapre la visuale, lo spettacolo cui assisto ha dell’incredibile: il suddetto atleta infatti, in aperta polemica ( :D) con la decisione della società di sottoporre i suoi tesserati ad un’esperienza così massacrante, si ferma a bordo strada e manifesta in questa maniera plateale la sua contrarietà (e io ho il piacere, essendomi improvvisato pure fotoreporter per sopperire all’assenza di Centanni, di proporvela in esclusiva):
Proprio così: seduto a terra e con la bici, nell’impossibilità di essere appesa al proverbiale chiodo, impiccata in cima ad un albero. Spettacolo quantomeno increscioso 😀 😀 😀 Una volta riportata la bicicletta nella sua sede naturale il percorso di tutti procede, e così anche il mio stato di crisi, che non accenna a benché minime controtendenze, anzi, si va progressivamente aggravando. Aiutato dagli incitamenti dei compagni raggiungo la cima della salita, e da lì ci si tuffa verso Sestino. Discesa brutta: tortuosa, stretta e con un asfalto in condizioni tragiche capace di regalare, potenzialmente, grossi dispiaceri se non lo si affronta con la dovuta concentrazione. Breve sosta a Sestino e poi via, giacchè una ventina di chilometri circa ci separa da Macerata Feltria, ove occorrerà imboccare, dopo duecento chilometri di marcia, l’ultima difficoltà altimetrica di giornata: la Faggiola.
Qui, quella che finora per me era stata una crisi, ancorché pesante, si trasforma nella più colossale agonia ciclistica che io abbia mai vissuto: non riesco, anche con tutta la buona volontà, a superare gli 11-12 km/h come velocità di punta durante l’ascesa, e sento il fiato che proprio non vuole saperne di venire fuori. Per fortuna ci sono a farmi forza Luca Cenci e, soprattutto, il buon Giorgio, che mi incita e mi spinge (letteralmente, mettendomi più e più volte una mano sulla schiena per accompagnarmi su) fino in cima. Senza tale aiuto probabilmente sarei ancora lì ad ammirare le bellezze del paesaggio agreste maceratese.
La cima della Faggiola è una liberazione: ormai è fatta! A Monte Cerignone ci si ricompatta e poi giù, di buona lena per gli ultimi venticinque chilometri, fino alla piazza di Morciano, dove ci si ferma, distrutti (non è un’affermazione retorica) ma terribilmente soddisfatti, per scambiarsi saluti e complimenti per questa grande impresa da temerari e folli (è proprio il caso di dirlo) che si è riusciti, con enorme sacrificio, a portare a termine. Siamo partiti alle sei del mattino e abbiamo fatto ritorno alle sei di sera, superato 230 km e spianato 4200 metri di dislivello sotto un sole impietoso. La voce del gruppo sembrava propendere, in maniera pressoché unanime, per un giudizio del tipo “E’ stato bello farla e portarla a termine, ma probabilmente è stata una fatica ben al di sopra delle nostre possibilità e che, pertanto, non si dovrà ripetere”. Anche io, lì per lì, l’ho pensata di sicuro così, ed anche ora non sono del tutto convinto della razionalità di quello che abbiamo deciso di fare, ma è stato senza dubbio giusto così: abbiamo inserito nel nostro carnè un’impresa non da tutti, e l’enorme sforzo che abbiamo profuso per portarla a termine ha saputo regalarci una soddisfazione ed un appagamento enormi, di quelli che, a mente fredda, ti fanno capire perché amiamo così tanto questo sport.
La fatica poi svanisce, ma l’orgoglio resta, ed il poter dire, nei mesi a venire, quando se ne riparlerà, “Io c’ero”, ci ripagherà completamente dello sfiancante lavoro che abbiamo lasciato sulla strada quel giorno. Di conseguenza, sono pressoché certo che quando si discuterà di organizzare nuovamente un qualcosa di simile (non prima del 2012 però eh! ), tutti i presenti della giornata saranno pronti in prima linea per prodigarsi nuovamente nel portarla a termine: del resto, altrimenti, non saremmo ciclisti ;). Un sentito ringraziamento va, in chiusura, al Capitano che ha ideato l’uscita, a chi ha sfoderato quel pizzico di incoscienza in più capace di convincerlo ad inserirla ufficialmente nel calendario di quest’anno e, a tutti i compagni di viaggio e, in particolare, a Giorgio e a tutti quelli che mi hanno aiutato ed incitato ad arrivare fino in fondo quando ormai la spia del carburante si era definitivamente spenta. ;).
Alla prossima!