Partenza di prima mattina, con il ritrovo consueto a Morciano alle ore 07.00.
Al via siamo circa una dozzina, ma a S.Giovanni, alla rotonda dell’autostrada, altri cinque-sei si aggiungono a noi (i compagni di merende Della Chiara e Magnani, il commendator Pazzaglini, Bartoli, il valente Centanni e l’illustre Vicinanza, se non ricordo male).
La giornata non è certo fredda, anche se purtroppo un innocuo ma fastidioso cielo grigio incombe su di noi e, verso Pesaro, prova anche invano a farci dispetto con due sparutissime gocce di pioggia che però non danno il via ad alcuno scroscio. L’andatura procede tranquillamente fino a Fano, il vento è scarso e il traffico, fortunatamente, altrettanto. Da Fano proseguiamo per Calcinelli e, poca prima di giungervi, Bordo e Ottavio ci salutano per tornare indietro.
Brevissima sosta rifornimento dopo una fase ad andatura leggermente più intensa per via della tirata a testa bassa di Luigi, poi si riparte verso Mondavio, dove cominciano le prime salite di giornata in mezzo a grandi scorci di campagna purtroppo non valorizzati dall’assente sole. Dopo Mondavio ed Orciano di Pesaro si scende alla volta di Pergola. In questo tratto si verifica qualche piccolo problema di coordinamento legato al fatto che i cambi in testa al gruppo non riescono a mantenere costante la velocità di trenta chilometri orari, considerata ottimale per risparmiare la gamba quando si devono coprire distanze così ampie come quella odierna. Una volta giunti a Pergola si procede verso Isola Fossara.
Nonostante molti manifestino la volontà di fare una sosta, si decide di proseguire ancora per non dilatare eccessivamente i tempi. La salita che dovrà portarci all’apice ridiscendendo dal quale giungeremo ad Isola Fossara è la più dura di giornata: si raggiungono infatti i seicento metri di quota dopo un’ascesa di circa cinque chilometri e mezzo al cinque-sei per cento medio. La strada è un po’ sconnessa, ma il traffico nullo, il silenzio totale e il paesaggio dell’Appennino circostante assolutamente affascinante. Poco prima di arrivare a Isola ci ricompattiamo in fondo alla discesa approfittando della foratura di Mirco.
Il paesino in cui è prevista la sosta è un minuscolo agglomerato di case (abbiamo, oltretutto, sconfinato in Umbria), grazioso, certo, ma, in termini di scelta per il ristoro, assolutamente inferiore rispetto a quello che potremmo trovare nella vicina Cantiano (distante circa quindici chilometri). Decidiamo quindi su suggerimento di Pio, di programmare lì la sosta pranzo. La strada successiva attraversa una bellissima gola, con scenari quasi mozzafiato, poi, per arrivare a Cantiano, c’è da superare una breve salita seguita quindi da una leggermente più lunga discesa. In quest’ultimo tratto, come si preoccupa di sottolineare in particolare il signor Aureli, si possono notare diversi interessanti elementi di fauna locale, supportando la vecchia tesi secondo cui “in montagna c’è l’aria buona” (a buon intenditor poche parole).
Per consumare il pranzo ci dividiamo equamente tra due alimentari locali, rifocillandoci con panini cocacole bacche muschi e licheni e caffè. Dopo circa tre quarti d’ora ripartiamo alla volta dell’Acqualagna, anche se quasi subito dobbiamo rifermarci per via di una foratura alla ruota del posteriore del sottoscritto, prontamente riparata grazie al lavoro di diversi compagni di squadra (un ringraziamento particolare a Luigi).
Fortunatamente sono riuscito ad arrivare a casa senza problemi, ma il copertone Michelin, montato la settimana prima (trentacinque euro cadauno, e non fatemi aggiungere commenti perchè non sarebbero certo consoni al testo) si è irrimediabilmente tagliato e sarò costretto a buttarlo via. Arrivati ad Acqualagna (Dio li fa poi li accompagna) occorre salire per poi giungere a Fermignano. Salita non lunga, ma con rampe abbastanza ignoranti, specialmente se prese dopo centoquaranta chilometri.
Il gruppo, ovviamente, si fraziona: io provo a mantenere il passo di quello di testa, capeggiato da Pio, ma, visto che non ce la faccio causa stanchezza, dico sin da subito “chissenefrega, oggi l’obiettivo è solo arrivare in fondo, distanze così lunghe non le ho del resto mai percorse!”. A Fermignano ci si ricongiunge e si riparte alla volta di Urbino, dove giungiamo dopo aver attraversato la galleria della strada nuova (girando a destra al bivio l’avremmo evitata, ma va beh, la cosa non si è rivelata certo un problema). Sosta al consueto bar nella città montefeltrina e poi giù verso Gadana e la Marcella.
Il ritmo in discesa è forsennato, con punte, come mi è stato testimoniato (visto che io mi sono ben guardato dal seguirvi), dei sessantacinque orari in tratti a pendenza molto dolce. In fondo vedo che Giorgio e Mirco mi hanno atteso, mentre poco più avanti un piccolo drappello è fermo con il buon Ernesto che dopo aver fatto il leone sul tratto precedente è rimasto vittima di crampi. Ci aspetta, ad ogni modo, la Marcella, ultima salita di questa dura e bellissima giornata. Mentre gli altri ci attendono a Tavoleto noi la imbocchiamo a passo tranquillo per procedere insieme a Ernesto (anche se la possibilità di procedere lentamente, vista la stanchezza, non è che ci facesse proprio schifo).
Dopo Tavoleto vi è il solito breve saliscendi fino a Montefiore, e la picchiata verso Morciano sancisce il termine della prima, magnifica tappa del Prestigino, i cui centonovanta chilometri (con circa duemilatrecento metri di dislivello), terminati da ben diciotto atleti, sono celebrati da me, Mirco, Ernesto, Luigi e Alberto con un meritato gelato.
Permettetemi di fare personalmente i complimenti a chi ha ideato questo trofeo interno alla squadra, la cui prima tappa si è rivelata indiscutibilmente di fascino e spessore. In tal senso vorrei fare un saluto con un fortissimo incoraggiamento a non mollare al buon vecchio Massimo, che l’aveva ideata e che da molti mesi è fermo per i ben noti problemi fisici. Ciao Max e forza!